Onorevoli Colleghi! - È a dir poco improcrastinabile l'esigenza di dotare il nostro Paese di una legge moderna ed europea sulla cittadinanza. In un periodo storico come quello che tutti noi stiamo vivendo è impensabile che l'Italia, da sempre terra di migrazioni ed immigrazioni, possa non tenere il passo e soprattutto perdere il controllo dei flussi di persone che desiderano vivere nel nostro Paese acquisendo per tempo la cittadinanza.
      Questa proposta di legge, onorevoli Colleghi, si propone di portare soccorso a una normativa, tra l'altro risalente a ben quindici anni fa, che risulta variegata e sicuramente anacronistica.
      Diversi sono stati negli ultimi tempi, finanche in questi giorni, i dibattiti in materia di concessione della cittadinanza agli immigrati. Dibattiti che si sono risolti nella scorsa legislatura, appunto con la cosiddetta legge «Bossi-Fini», una legge che non ha portato i frutti attesi e che non è assolutamente al passo né con le esigenze dell'immigrato che giunge nel nostro Paese né con quelle del cittadino italiano che vuole o deve interagire con la problematica in questione.
      Diverse e variegate sono state le proposte di legge che si sono succedute in questi anni. Proposte che sono spesso tra loro omogenee e concordanti, eccezion fatta per alcuni punti che necessitano di un ampio e sereno dibattito parlamentare.
      Esse infatti differiscono principalmente in merito al lasso di tempo necessario all'immigrato per acquisire la cittadinanza: alcune propongono solo un triennio di soggiorno, altre, invece ben sei anni per la concessione della cittadinanza italiana.
      La proposta di legge in questione, Colleghi, guarda all'Europa per trovare la soluzione al nostro problema ed ha il fine di creare una legislazione quanto più possibile uniforme con il resto dell'Europa stessa.

 

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      Scegliere un periodo di residenza in media con il resto dei Paesi europei significa in primo luogo evitare che la maggiore facilità di acquisizione della cittadinanza in Italia, in termini temporali, renda ancora più vulnerabile il nostro Paese al difficile problema dell'immigrazione clandestina.
      Se oltre alla nostra posizione geografica aggiungessimo anche una maggiore facilità di acquisizione della cittadinanza, rischieremmo infatti di incentivare i flussi migratori, operando in modo contrario allo sforzo di contenimento degli stessi, ed aggraveremmo il problema sociale ed umanitario connesso all'immigrazione clandestina nel nostro Paese.
      In Germania sono otto gli anni di residenza richiesti e in Spagna dieci, in Francia sono cinque, ma in questi mesi si sta procedendo a una revisione in senso restrittivo della legislazione in materia.
      Individuare in sette anni il periodo di residenza richiesto ci aiuterebbe a collocarci nella media europea.
      Il problema del lasso di tempo necessario per l'acquisizione della cittadinanza si collega direttamente a quello dell'acquisizione degli strumenti e delle conoscenze linguistiche e dei valori della nostra cultura. È opportuno capire che se l'acquisizione linguistica può essere determinata dalla previsione di un tempo di permanenza continuativo nel nostro territorio, il problema culturale e valoriale, ben più importante, è molto più complesso.
      Non si può pensare che l'acquisizione dei valori a fondamento della cultura avvenga in un periodo così limitato. È assolutamente evidente come questo processo sia di tipo generazionale e come una vera e propria integrazione culturale possa avvenire solo con le generazioni successive alla prima, anche grazie all'inserimento dei più giovani nel sistema scolastico nazionale e la partecipazione degli stessi a forme di socializzazione.
      È indispensabile, a nostro avviso, prevedere un sistema formativo - che coinvolga il sistema scolastico, le università, le amministrazioni locali e il mondo del no-profit - affinché siano concesse a chi intende compiere questo processo di integrazione pari opportunità di apprendimento e o integrazione, senza differenziazioni sociali e culturali. L'istituzione di veri e propri corsi di «educazione alla cittadinanza» è già prevista nella legislazione di altri Paesi europei e rappresenterebbe uno strumento concreto più efficace per accompagnare e verificare l'integrazione linguistica e culturale dell'immigrato.
      Un ulteriore aspetto cui si deve porre attenzione è il problema dei ricongiungimenti. Ricordiamo infatti che per altre culture, e in particolare per quella araba, spesso il concetto di famiglia è diverso dal nostro. E più in generale dobbiamo considerare che l'alta natalità di tali popolazioni rende le famiglie degli aggregati molto numerose e spesso «allargati». Nel valutare un progetto di legge sulla cittadinanza di questo tipo non possiamo non valutare gli impatti economici che deriverebbero dal problema dei ricongiungimenti. Impatti sul Servizio sanitario nazionale, sul sistema pensionistico e sugli ammortizzatori sociali in generale. Rispetto a questo tema credo che il Governo debba fornire uno studio e una valutazione più dettagliata, anche in termini economici.
      Nello specifico, la proposta di legge in questione propone in primo luogo che, ai fini della concessione della cittadinanza per nascita, il requisito della semplice residenza senza interruzione per cinque anni sia sostituito da quello di un quinquennio con un più quattrocentocinquanta giorni di assenza dal territorio italiano. Dispone ancora che i cinque anni previsti per la concessione della cittadinanza siano, come prima annunciato, portati a sette, riducibili a cinque solo tramite superamento di un corso di integrazione predisposto dal Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri dell'università e della ricerca, della pubblica istruzione e per i diritti e le pari opportunità.
      Infine, la presente proposta di legge, Colleghi, richiede la rinuncia esplicita da parte del richiedente alla cittadinanza di origine.
 

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